“DISTRIBUIRE LAVORO E OPPORTUNITÀ, PRIMA CHE DIVIDENDI”

“DISTRIBUIRE LAVORO E OPPORTUNITÀ, PRIMA CHE DIVIDENDI”

L’intervento di Matteo Caramaschi, presidente di Confcooperative Reggio Emilia, pubblicato sulla Gazzetta di Reggio.

martedì 1 settembre 2020

Pubblichiamo l’intervento del presidente di Confcooperative Reggio Emilia, Matteo Caramaschi, pubblicato sulla Gazzetta di Reggio di martedì 1 settembre 2020 nell’ambito del dibattito avviato dal quotidiano in merito alla ripartenza e alle sfide dell’economia dopo l’estate post-lockdown e l’emergenza sanitaria ancora presente.

 

Non sappiamo ancora quando potremo dichiararci fuori dalle emergenze causate dal Covid-19.

Non basterà guardare al recupero che potremo avere sul Pil in quest’ultima parte del 2020 e nel prossimo anno. Ce lo auguriamo robusto, ma non sarà così per tutti.

Vi sono vaste aree del tessuto economico e sociale che continueranno a soffrire, e sono soprattutto quelle che riguardano, in generale, i servizi alla persona, quelle che spesso più di altre (pensiamo ai servizi educativi, ad esempio, alle attività sportive e culturali, ma anche alla stessa ristorazione o al turismo) segnano il grado di benessere di una comunità.

La pandemia, anche nel medio periodo, rischia di provare molto proprio queste economie di prossimità, le più ancorate nel territorio, le più vicine alle persone, quelle che peraltro hanno nuovamente e ulteriormente mostrato tutto il loro senso e il loro valore nel momento in cui si sono reinventate e riprogettate per resistere alla tempesta e non venir meno a quel patto che le lega profondamente alle persone, alle famiglie, alle comunità locali.

Ben vengano, allora, i richiami alla ripresa di un forte lavoro comune tra organizzazioni imprenditoriali e sociali, istituzioni, forze politiche. Il nostro territorio è cresciuto per tanti anni proprio su questi presupposti, associando una straordinaria capacità individuale e collettiva di intraprendere al lavoro di istituzioni (sollecitate anche da una politica meno prigioniera dei sondaggi rispetto a quella attuale) che hanno operato affinchè questo divenisse valore comune e la ricchezza economica coincidesse con la ricchezza di servizi ed opportunità per tutti.

Come ebbi modo di sottolineare in occasione dell’appello lanciato da Mons. Camisasca nell’aprile scorso, oggi davvero dobbiamo puntare su un sistema territoriale (e non solo su singole imprese) che usi bene le misure pubbliche e ne investa di proprie, riguadagnando produttività, mercati e il valore delle filiere locali. Non possiamo permetterci di assecondare un’economia che cresce perdendo progressivamente legami con il territorio e governance locale. L’obiettivo primario è la ripresa di economie orientate a distribuire lavoro e opportunità prima ancora che dividendi finanziari, rinsaldando il legame tra sistema imprenditoriale e territorio.

In questi anni, in verità, abbiamo lavorato poco, insieme, per questi obiettivi. Si sono alzate voci solitarie sull’una o sull’altra delle questioni che attengono allo sviluppo locale, ma è stata debole la ricerca e la costruzione di un disegno comune.

Sottotraccia, talvolta, sono così rimasti irrisolti, ad esempio, temi come l’equa remunerazione delle imprese che operano su commesse pubbliche, e in gran parte private, nel campo della logistica, delle pulizie, dei trasporti, delle costruzioni.

La pandemia ha poi evidenziato ancor di più la distanza che esiste tra la valorizzazione del lavoro pubblico e del privato sociale in tanta parte dei servizi alla persona e alla collettività.

Alle certezze assolute di alcuni hanno corrisposto le incertezze altrettanto assolute di altri, mitigate sì da qualche nuovo protocollo pubblico-privato, ma più che altro affidate alla consolazione di qualche ammortizzatore sociale che non dà alcuna prospettiva rispetto alla continuità di imprese e servizi costruiti nel territorio, dentro le comunità e insieme alle comunità.

Il rilancio di un’azione comune – necessaria, direi ineludibile – tra associazioni imprenditoriali, sociali, istituzioni e mondo politico non può prescindere, allora, da una comune consapevolezza del valore delle tante economie che si muovono nel territorio e dei capitali immateriali e materiali che ogni giorno si mobilitano e divengono patrimonio comune.

Da qui è necessario partire, perché qui poi occorre ritornare con azioni comuni, che richiedono sicuramente una più esplicita e comune analisi della direzione che occorre dare allo sviluppo perché non si riduca ad un solo insieme di indici e statistiche, ma significhi benessere fondato su equità e coesione.

Il confronto e il lavoro condiviso hanno ampi orizzonti sui quali muoversi, e in questi rientra certamente la ripresa di un confronto con la politica che non assecondi logiche di schieramento o sensibilità mosse da sondaggi o perenni campagne elettorali.

E’ insieme che si possono costruire proposte e progetti che abbiano a cuore interessi collettivi e si fondino sul principio dell’autonomia, perché i cammini solitari rischiano di annullare la centralità del ruolo che le organizzazioni possono e debbono avere in una fase in cui anche i meccanismi della rappresentanza sono messi in profonda discussione.

Abbiamo certamente bisogno di parlare molto di più di economia locale, di aree interne, di sistema agroalimentare, di riequilibrio di uno sviluppo che marginalizza vaste aree del territorio, di lavoro e infrastrutture, degli strumenti (dalla Camera di Commercio agli enti di ricerca e innovazione, all’Università) che concorrono alla crescita, a sostenerla e a orientarla.

Questo è il contributo che Reggio Emilia e le sue organizzazioni possono dare al “Piano strategico per l’Italia” richiamato dal presidente di Unindustria Reggio Emilia.

Finiranno gli ammortizzatori e arriveranno risorse per gli investimenti, ed è qui che occorre esprimere una straordinaria capacità di orientamento e di proposta, trovando intese e visioni comuni non solo su ciò che già ci vede uniti nelle critiche (la fiscalità, la burocrazia, gli sprechi da contrastare, ecc.), ma sul come far sì che gli investimenti generino ricchezza stabile e misurabile nel territorio.

E ci sono anche molte cose specifiche e subito concretamente praticabili che si possono fare.

Un esempio, su tutti, è rappresentato dalle difficoltà che parte dell’imprenditoria sconta nel ricambio generazionale.

La tenuta e lo sviluppo del territorio richiedono che questi patrimoni non vadano dispersi o ceduti al primo soddisfacente acquirente purchessia.

Cominciamo, allora, a collaborare anche su questo fronte, parlando di più, ad esempio, di quei workers buyout che possono consentire di far acquisire la proprietà (e non vale solo per le aziende in crisi) ai lavoratori, estendendo la democrazia economica e tutelando il valore costruito nelle comunità.

E non solo: parliamo di più, sempre ad esempio, del come costruire capitali per sostenere le giovani imprese e le imprese di giovani, perché la continuità del “saper fare” che caratterizza il nostro territorio è anch’essa un patrimonio da tutelare.

Infine, oggi dobbiamo ancora vigilare, insieme, su cosa accadrà nei prossimi mesi; l’emergenza Covid ha sorpreso un po’ tutti ed è inutile recriminare su errori o presunti torti subiti, ma cogliere e reagire ad ogni segnale di difficoltà è ora indispensabile quanto costruire insieme nuove idee e proposte di sviluppo.

 

Matteo Caramaschi

Presidente Confcooperative Reggio Emilia