L’OPEN INNOVATION SPIEGATA DA SOCIAL SEED

L’OPEN INNOVATION SPIEGATA DA SOCIAL SEED

Giulia Cassani di Social Seed spiega i processi di innovazione aperta promossi dal bando Talents4coop, aperto fino al 20 dicembre.

mercoledì 16 dicembre 2020

Siamo alle ultime battute della partecipazione alla call Talents4Coop, la cui data ultima per iscriversi è fissata per le ore 12.00 di domenica 20 dicembre.

L’iniziativa, promossa da Confcooperative Emilia Romagna con il supporto di Social Seed, è stata ideata per ricercare competenze, progetti di innovazione radicale, di ristrutturazione dei prodotti e dei servizi delle organizzazioni cooperative.

 

Proprio per questo motivo abbiamo intervistato Giulia Cassani del team di Social Seed, per approfondire ulteriormente il tema dell’Open Innovation e per analizzare il rapporto che può avere con le cooperative. 

 

Spesso viene utilizzato il termine “Open Innovation’’. Ci può spiegare di cosa si tratta di preciso?

Nel 2003 in USA Henry Chesbrough coniava il termine “Open Innovation”, per evidenziare come le imprese, per creare valore e competere meglio sul mercato, non possano affidarsi solo a idee e risorse interne ma abbiano la necessità di ricorrere anche a strumenti e competenze che arrivano dall’esterno. Nell’epoca della complessità fare innovazione aperta significa contrapporsi quindi ad una strategia top-down dell’innovazione, per cui la strategia è direttiva perché è impostata dal vertice ed è eseguita dal resto dell’organizzazione. La rivoluzione in questo senso c’è nel momento in cui pensiamo che fare innovazione significa accettare il fatto che può nascere da qualsiasi persona/ruolo/funzione dell’organizzazione perché è intraprendente e perché ha a che fare con l’intelligenza collettiva e con le persone, al di là di ruoli e confini.

L’innovazione non è innovazione se non è aperta. Se fino a qualche anno fa per le organizzazioni era residuale e opzionale attivare strategie e azioni di open innovation, oggi più che mai è un elemento di sopravvivenza.

 

Cooperative e Open Innovation, quali case history possiamo raccontare in Emilia-Romagna?

Ci sono molti esempi che testimoniano come il rapporto è ben presente e in crescita. Il primo esempio che mi viene in mente è il Social Hackathon che è stato realizzato nelle scorse edizioni di CoopUp da Confcooperative Piacenza il 2 dicembre del 2017 a cui hanno partecipato più di 66 partecipanti /sviluppatori, designer e studenti universitari. Dalla call sono emersi poi 6 prototipi di soluzioni in risposta alla sfida che la cooperativa avevano lanciato al territorio: “Come la tecnologia può essere utile per migliorare la relazione tra famiglie, servizi cooperativi e comunità?”.

Merita di essere menzionato anche il caso di CavaRei, cooperativa sociale di Forlì, che ha dato vita ad un partenariato tra la cooperativa sociale, Dorelan e l’indirizzo moda in un istituto tecnico d'istruzione superiore per il design di oggetti derivati da materiale di scarto e destinati ai punti vendita Dorelan. Gli oggetti sono progettati dai ragazzi dell’istituto e prodotti dalle persone con disabilità inseriti nella cooperativa sociale.

Infine, chiudo la lista degli esempi con quello del Gruppo scuola cooperativa sociale di Parma con il progetto «Officine On/Off», realizzato dalla cooperativa con le istituzioni pubbliche. È stata creata una community collaborativa volta a promuovere l’auto-imprenditoria tra i giovani e l’avvio di progetti di innovazione sociale e tecnologica.

 

La Regione Emilia-Romagna è al lavoro sull’Agenda Onu 2030. L’Open Innovation può aiutare a raggiungere questi obiettivi?

Si, sicuramente può essere uno strumento importante ma va detto che l’Open Innovation non è la soluzione a tutti i mali. La cosa più importante nei processi di innovazione è l’intenzionalità e l’obiettivo che ci si pone e in questo caso tutti gli obiettivi 2030 possono essere raggiunti tramite questo strumento, ma alla base ci devono essere tre punti: uno scopo condiviso all’interno dell’organizzazione, una strategia di impatto e una intenzionalità chiara da parte dell’organizzazione rispetto a che cosa vuole raggiungere e un approccio nonché una cultura della progettazione aperta. Questo presuppone un lavoro sulle competenze interne di chi porta avanti questi processi per fare in modo che questi interventi non siano spot ma che abbiano uno sguardo e una continuità nel lungo periodo.

 

Tre motivi per partecipare a Talents4Coop?

Sicuramente, per sopravvivere. L’innovazione non sarà più un elemento accessorio ma avrà a che a fare con la sopravvivenza delle organizzazioni e con il loro desiderio di uscire dalla crisi in maniera rinnovata. Partecipare significa allenarsi ad essere pronti a disegnare scenari futuri e a sopravvivere in tempi di emergenza.

Poi, credo per offrire servizi sempre più aderenti al contesto in evoluzione. La pandemia ha disegnato nuove morfologie sociali e la necessità di adeguare o ristrutturare i propri servizi e le proprie progettualità diventa fondamentale a fronte del cambiamento dei bisogni delle proprie comunità per non rischiare di continuare ad offrire servizi e progetti non aderenti alla realtà

Infine, per sperimentare in tempi rapidi, diamo la possibilità di sperimentare cantieri di innovazione che le cooperative possono avere aperte grazie ad un supporto che ha come obiettivo la trasmissione di competenze, strumenti e tecniche per abilitare i team di Open Innovation manager ad essere autonomi lungo il percorso e quindi arricchire nel lungo periodo la cooperativa replicando il metodo anche su altre sfere.

 

A cura dell’ufficio stampa e comunicazione di Confcooperative Emilia Romagna

 

Nelle foto, Giulia Cassani e il team di Social Seed