“L’ECONOMIA SOCIALE È NEL NOSTRO DNA”

“L’ECONOMIA SOCIALE È NEL NOSTRO DNA”

È partita la stagione assembleare di Confcooperative che in Emilia-Romagna mette al centro i temi dell’economia sociale. Ne parla il presidente Milza in questa intervista al Resto del Carlino.

mercoledì 31 gennaio 2024

Pubblichiamo di seguito l’intervista de il Resto del Carlino al presidente di Confcooperative Emilia Romagna Francesco Milza, pubblicata all’interno dello speciale TOP AZIENDE uscito mercoledì 31 gennaio 2024.

 

 

Ora che l’economia sociale è entrata a pieno titolo negli obiettivi della programmazione europea, occorre creare le condizioni per una piena attuazione. Ne è convinto Francesco Milza, presidente di Confcooperative Emilia Romagna, organizzazione che riunisce oltre 1.500 imprese cooperative in regione (con 90.000 addetti, 230.000 soci e un volume d’affari di 15,8 miliardi di euro) e che proprio in queste settimane ha avviato la stagione assembleare che porterà al rinnovo delle cariche ad ogni livello. “Si sono già celebrate le assemblee di Confcooperative Romagna e Confcooperative Terre d’Emilia che riunisce Bologna, Modena e Reggio, mentre lunedì 8 aprile terremo l’assemblea regionale a Bologna” anticipa Milza. Al centro del dibattito ci saranno proprio i temi dell’economia sociale, come suggerisce il titolo scelto a livello nazionale (“Lavoro – Comunità – Futuro. La funzione sociale della cooperazione”).

 

Presidente Milza, perché mettere al centro la funzione sociale della cooperazione? Che cosa significa?

“Perché coniugando l’attività economica di impresa con i principi di mutualità, democrazia e attenzione al territorio e alle comunità di riferimento, la cooperazione è il principale attore protagonista dell’economia sociale, un modello economico alternativo e complementare a quello capitalistico, che non ricerca la massimizzazione del profitto ma punta a ridurre le diseguaglianze ad ogni livello. Mettere al centro questa funzione sociale delle cooperative, nell’ambito della nostra stagione assembleare, significa ribadire che l’economia sociale fa parte del DNA cooperativo, che le nostre sono imprese generative e non estrattive, che producono impatti e ricadute positive nei territori per redistribuire ricchezza e non per arricchire pochi come purtroppo succede in alcuni settori. Chiediamo un pieno riconoscimento di questa funzione sociale”.

 

Anche l’Unione Europea pare essersi accorta della rilevanza di questi temi…

“Esatto. Non a caso ammontano a oltre 2 miliardi di euro i fondi FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e FSE+ (Fondo Sociale Europeo Plus) previsti per la Regione Emilia-Romagna dalla programmazione europea 2021-27. Queste risorse rappresentano una straordinaria occasione per raggiungere gli obiettivi fissati dalla UE a favore di un’economia più inclusiva e al servizio delle persone, a partire da quelle più fragili. Ed è proprio nell’ottica di utilizzare al meglio queste risorse che si inseriscono le nostre richieste”.

 

Quali sono le vostre principali richieste?

“Abbiamo individuato quattro ambiti di azione: favorire maggiormente l’accesso delle cooperative alla finanza pubblica e privata, intervenire sugli appalti pubblici eliminando una volta per tutte la logica al massimo ribasso anche se mascherato in altre forme, regolamentare la disciplina degli aiuti di Stato con deroghe che possano collegare le norme de minimis con l’inquadramento dei Servizi di Interesse Economico Generale (SIEG), e infine prevedere incentivi da un lato e controlli dall’altro a tutela di chi opera nell’economia sociale”.

 

A proposito di politiche europee, stanno facendo molto discutere nel mondo agricolo le decisioni a tutela dell’ambiente.

“Per noi la sostenibilità è tale solo se è integrata, ossia se contempla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Lo sanno bene i nostri produttori soci di cooperative agricole, alle prese con i cambiamenti climatici che stanno mettendo a repentaglio intere filiere produttive, in particolare nella nostra regione. Se non prevediamo percorsi di accompagnamento per queste imprese verso un’agricoltura e una zootecnia più sostenibili, con obiettivi da raggiungere in maniera graduale, ma ci limitiamo solamente a imporre divieti repentini come qualcuno a Bruxelles intende fare, finiremo per ritrovarci senza più produttori italiani e con un’importazione massiccia di beni alimentari dall’estero. Una circostanza che si tramuterebbe in un boomerang anche dal punto di vista ambientale, visto che già oggi gli standard ambientali europei non hanno paragoni nel resto del globo”.

 

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